Virginio e Sisa sono un'anziana coppia quechua che vive sull'Altipiano boliviano devastato dalla siccità. Sono allevatori di lama, che ogni giorno devono compiere un percorso di diversi chilometri per poter trovare qualche stentato ciuffo d'erba e un po' d'acqua per gli animali.
Un giorno, l'arrivo del nipote Clever rivoluziona la loro routine: i nonni potrebbero andare a vivere in città, dove sia lui che suo padre abitano.

Il vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance lancia un forte grido di allarme sui mutamenti climatici senza fare proclami ma con empatia umana.

Alejandro Loayza-Grisi ci porta in una terra poco frequentata dal cinema per raccontarci una piccola storia che si situa in grandi spazi spettacolari, che ricordano il cinema di Sergio Leone o di John Ford per la potenza che amanano dal punto di vista visivo. Non siamo però di fronte a vicende cariche di azione, anche se la tensione non manca. Fin dalla prima inquadratura di un uomo che cammina da solo in una terra arida, veniamo collocati in una dimensione in cui l'essere umano e la Natura non vivono più in comunione.

Questo film ci parla di una storia di persone, raccontando come i mondi ed i modi in cui viviamo si facciano sempre più lontani. La città a cui Clever vorrebbe, con tutte le migliori intenzioni, condurre i nonni è una realtà a cui Virginio, che nasconde un segreto relativo alla sua salute, non intende adattarsi.

Loayza-Grisi riesce con grande delicatezza a mostrarci il rapporto tra le due generazioni sul versante maschile mediato da una anziana donna, Sisa, che comprende le ragioni di entrambe le parti ma resta legata al marito.
In un misto di antiche credenze rituali e di duro confronto con la realtà quotidiana, assistiamo a un progressivo avvicinamento tra nonno e nipote che però non può portare a cedimenti sulla impossibilità di mutare modalità di vita.